I feti del cimitero Flaminio
Roma, cimitero Flaminio di Prima Porta. Qui sono sepolti i feti con i nomi delle madri che si sono sottoposte ad aborto terapeutico.
Nomi di donna affissi sulle croci, ad insaputa delle interessate. Nel più totale spregio del diritto alla privacy; e pure della libertà di culto, giacché nessuna delle donneaveva specificato qualsivoglia preferenza per la Croce cristiana.
La polemica – tra vuoti normativi e rimpalli di responsabilità - coinvolge il Garante della Privacy, esplode tra le associazioni femminili, negli ospedali e nei servizi cimiteriali; approda nei salotti della politica dove si annunciano interrogazioni parlamentari. Non giriamoci intorno. Qui si tratta di comprendere se uno Stato che si professa laico e non confessionale riesca ancora a garantire l’anonimato alla scelta drammatica di un aborto terapeutico.
Impedendo che essa finisca per tracimare in maniera così disinvolta dall’alveo privato a quello pubblico.

L'ennesima riprova del livello di barbarie della nostra società. Buona settimana. VM

La cosa più sconcertante è l’assoluta innocenza con la quale i dirigenti dell’AMA, l’azienda municipalizzata che gestisce i cimiteri capitolini, hanno liquidato la questione, ossia affermando che la croce è una consuetudine in mancanza di altre indicazioni (di chi poi, se nessuna delle donne è stata interpellata) e che in assenza di un nome assegnato al feto, "deve riportare alcune indicazioni basilari per individuare la sepoltura da parte di chi la cerca". In sostanza nessuno è stato sfiorato dall'idea che il nome e il cognome di una donna (che si è dovuta sottoporre a un aborto terapeutico) fossero dei dati personali da proteggere e tenere riservati, invece di essere usati come "indicazioni basilari", sbandierati come semplici coordinate geografiche. Il cimitero Flaminio tra l’altro non è nuovo a episodi di una sconcertante gravità. Qualche mese fa il caso di un cittadino romano a cui un’agenzia funebre dopo mesi di attesa ha consegnato un’urna contenente terra e sassi al posto delle ceneri della mamma. Qui non si tratta di comprendere se uno Stato che si professa laico riesca a garantire o meno l’anonimato alla scelta drammatica di un aborto terapeutico; si tratta di prendere coscienza che certe realtà sono in mano alla filiera dell’ignoranza; dal dirigente che scrive un regolamento all’operaio che predispone la sepoltura. E d’altra parte perché stupirsi di un settore storicamente permeato del potere delle famiglie criminali che – credo – certo non fanno della cultura la loro ragion di vita?