
Venerdì 27 Giu, 2014
Laurea online lavorando, il futuro è adesso
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L'americana Starbucks ha deciso di pagare gli studi ai dipendenti che vogliono laurearsi sul web. Una scelta straordinaria non solo per motivi sociali, ma anche per il mezzo scelto. In Italia il titolo di studio telematico è considerato di serie B, mentre negli Usa si formano così i manager. Bisogna avere il coraggio della modernità.
Al di là della portata dell'iniziativa di Starbucks - a mio avviso è un grande insegnamento di welfare che viene da un privato - l'aspetto che più mi ha colpito riguarda la scelta del tipo di laurea. In accordo con l'Università di Arizona, Starbucks ha preferito i corsi telematici a quelli cosiddetti tradizionali. Nessun limite di età, nessuna lista di attesa, nessuna restrizione: chiunque potrà accedere al programma di studio che preferisce direttamente da casa e dopo aver conseguito il titolo potrà anche decidere di cambiare lavoro.
È un'iniziativa dalla portata straordinaria per una duplice ragione. La prima attiene all'aspetto prettamente sociale. Gli imprenditori, consapevoli della crisi economica che impedisce a molti giovani di proseguire gli studi dopo la scuola, si fanno carico della loro formazione, nella convinzione che i vantaggi siano molteplici: maggiore disponibilità sul luogo di lavoro, maggiore soddisfazione, aumento della produttività. E questo anche qualora i dipendenti decidano di cambiare lavoro. La vogliamo chiamare responsabilità sociale o lungimiranza? Fatto sta che con questa mossa Starbucks ha dato una bella scossa al mondo un po' snob dell'istruzione universitaria, aprendolo anche a chi non avrebbe mai sognato di potervi accedere.
La seconda ragione riguarda più specificamente la questione della scelta didattica. Quando ho letto la notizia, mi sono posto una domanda: perché la catena americana ha scelto di regalare corsi online anziché quelli tradizionali? Non certo perché siano più facili da conseguire o perché siano di serie B. Ma forse perché, trattandosi di lavoratori, non hanno il tempo di andare fisicamente in un'aula a seguire una lezione. Non solo: ha preferito una metodologia di studi innovativa, interattiva, senza limiti, che si avvale degli strumenti formali e informali di apprendimento. È ancora una volta l'America a darci una grande lezione di welfare aziendale e di democrazia. E in Italia tutto questo sarebbe stato possibile? Forse no. Sono ancora tante, troppe e basate su pregiudizi, le resistenze a un sistema universitario, quello telematico, che con la forza di un uragano sta spazzando via le incrostazioni del mondo accademico, morbosamente ancorato al passato. In Italia si discute ancora del valore della laurea telematica, considerata spesso di serie B rispetto a quella tradizionale. In America si formano i futuri manager. Questa è la differenza sostanziale.
Proprio sull'ultimo numero di Panorama era riportata una frase di Steve Siebold («Come pensano i ricchi»): «Tutti coloro che sono diventati milionari si sono posti, a un certo punto della loro vita, obiettivi che la maggior parte di chi li circondava giudicava irraggiungibili o almeno rischiosi». Avere idee innovative, percorrere strade mai battute da altri, osare. Avevo 26 anni quando ho fondato dal nulla un'università telematica. Sono stato un folle? Forse. Ma se non lo fossi stato, ora non sarei il presidente di un ateneo che conta circa 25 mila iscritti tra laurea e post laurea e che dà lavoro a migliaia di persone. I cambiamenti fanno sempre paura, è vero. Ma mentre parliamo il futuro è già diventato passato senza che noi possiamo impedirlo. Bisogna avere solo il coraggio di farsi travolgere dall'onda della modernità e cogliere tutte le opportunità che ci offre.