L'editoriale del direttore Elio Pariota: Le paure globali degli europei

Caro Direttore, credo che da quando abbiamo intrapreso la strada della globalizzazione, implicitamente abbiamo compiuto una scelta irreversibile: quella di superare le diffidenze verso gli investitori e i prodotti stranieri semplicemente cercando di essere più bravi di loro, avendo chiaro quale sia il core business del nostro Paese e difendendolo strenuamente con la nostra intelligenza e la nostra creatività, oltre che con le leggi e gli accordi internazionali. Inevitabilmente la globalizzazione passa attraverso accordi concreti e mirati come il TTIP, se è vero che grazie a questi accordi, una famiglia media europea beneficerebbe ogni anno di oltre 500 €, grazie ai forti stimoli che ne deriverebbero ai mercati. Ma perchè la statistica sia giusta (e non quella dei due polli) anche noi dovremo fare la nostra parte. Dovremo cercare di abbattere le barriere interne allo sviluppo, rendere la scuola e l'univeristà più efficienti, ridurre i tempi abnormi della giustizia civile ... in una parola dovremo diventare una società più moderna, competitiva con i nostri cugini europei. Ci stiamo provando, ma ora forse è il momento di concentrarci tutti su questo obiettivo, se non vogliamo che ogni cittadino europeo arrivi a mangiare un pollo a testa, ma qualcun'altro si stia mangiando anche il nostro! (se vogliamo approfondire possiamo partire da qui http://ec.europa.eu/trade/policy/in-focus/ttip/about-ttip/index_it.htm)

Un mercato così vasto non rappresenta un male in sé, perché ha una potenzialità enorme. Il problema è piuttosto di tipo etico: secondo quali parametri sarà gestito? Chi ne beneficerà veramente? E, soprattutto, quale ruolo avranno i paesi meno avanzati tra cui l'Italia? E quali i benefici per questi ultimi? Lo sviluppo globale non può andare lontano se, all'interno di certe aree, le velocità sono molto diverse. Forse puntare sullo sviluppo locale e sul potenziamento di risorse e talenti nazionali sarebbe più auspicabile, soprattutto al fine di promuovere la diversità e la specificità in un ottica post-moderna. Cioè globale!